domenica 23 marzo 2014

"INCROCI E LINEE CONTINUE" - Racconto segnalato alla II edizione del premio letterario Marco Pozza 2014

di Jenny Bassa

È primavera e c’è il sole. Ma sono le 7.47 e Lia è in ritardo: alle 8 parte il bus per Vicenza e da casa sua alla stazione di Thiene ci sono una decina di chilometri. Si fionda nella sua vecchia Clio “verde buttiglion” (lo stesso colore delle bottiglie da due litri del vino di suo nonno) e in men che non si dica è già in statale.
Impreca contro tutto e tutti. Soprattutto contro chi le si para davanti e procede a velocità di crociera. Tra dossi, incroci e rotatorie non riesce a superare nessuno. Finalmente un rettilineo fa al caso suo: l’altra corsia è libera, quindi si butta fuori e la sua Clio non ha difficoltà a superare l’auto che da un paio di chilometri le fa da tappo. Bene, ora conta di farcela, basta solo un po’ di fortuna con i semafori.
Qualcosa però attira presto la sua attenzione dallo specchietto retrovisore. Sono i fari, lampeggianti, dell’auto che la segue. Cosa vuole ora questo?, si chiede Lia scocciata, senza darci troppo peso. Ma è un attimo, perché si rende subito conto che – maledizione! – quei fari lampeggianti sono di un’auto dei carabinieri ed è probabile che stiano intimando a lei, sì, proprio a lei, di accostare.
Da dove diavolo sono sbucati?, si chiede Lia, con un fremito. Un attimo prima del sorpasso, ne è sicura, nello specchietto non c’era nessuno. Ma non ha importanza, perché davanti (anzi dietro) ha un grosso problema, e non è certo il bus in partenza da Thiene.
Lia accosta, cuore in gola. Cosa si fa in questi casi?, si chiede. Decide di spegnere il motore, quindi abbassa il finestrino. Imperturbabili, solenni nelle loro bellissime divise nere bordate di rosso, le si avvicinano i due carabinieri, dopo aver fermato l’auto dietro la sua. Chiedono patente e libretto, al solito. Ma è la prima volta di Lia: è la prima volta che viene fermata per un controllo e non è neanche sicura di ricordarsi com’è fatto un libretto di circolazione.
Intanto fornisce la patente, che per fortuna è sempre lì, nel portafoglio, dimenticata da chissà quanto tempo, ma c’è. Ora però deve trovare il libretto. Sarà sotto il sedile del passeggero o nel cassetto del cruscotto? Lì, poi, neanche fosse il baule del granaio di sua nonna, c’è un marasma: vecchie audiocassette, cd, carte stradali sdrucite, pile d’emergenza, guanti in lattice… Vorrebbe chiedere al carabiniere di aiutarla a cercare, ma si vergogna troppo. Anzi, non capisce perché diavolo è così agitata, perché le tremino le mani a quel modo: un altro po’ e quelli s’insospettiscono, ne è sicura.
Intanto, dal cruscotto ha tirato fuori tutto, mancano solo i pezzi del motore. Ma del libretto neanche l’ombra. E adesso, mica mi metteranno dentro?, si chiede Lia più preoccupata che sarcastica. Ma, grazie a dio, mette a fuoco in quel momento che non deve cercare un libretto vero e proprio, bensì un foglio verdino piegato in quattro, che a suo tempo, quando acquistò la Clio usata, aveva riposto in quella busta di plastica spessa e grigia che contiene il volume di manutenzione dell’auto. E infatti è là che lo trova.
Sollevata, Lia porge al carabiniere il foglio di circolazione (sia mozzata la lingua a chi lo chiama ancora libretto!, penserà più tardi). Ma l’uomo in divisa non si accontenta: “Scenda dall’auto”, le dice, e suona come un ordine.
E adesso che succede? Mi portano via?, si chiede Lia spaventata. Tanto più che con la coda dell’occhio ha appena visto l’altro carabiniere parlare alla ricetrasmittente con la sua patente in mano. Sente il sangue di ghiaccio nelle vene e teme un grosso sbaglio: mi hanno forse scambiata per una pregiudicata?, si domanda, quasi nel panico.
“Lo sa che per quel sorpasso rischia il ritiro della patente?”, le chiede il carabiniere, calmo e senza alzare la testa dal foglio di circolazione, dopo averlo controllato in ogni sua parte.
Lia alza lo sguardo, ma il sole, ancora basso a quell’ora del mattino, le si oppone e le trafigge violentemente gli occhi, costringendola ad accartocciare il viso in una smorfia difensiva. È confusa, quasi stordita.
“Incrocio e linea continua”, aggiunge il carabiniere, lapidario.
Ancora accecata, Lia si volta verso quel tratto di strada e capisce tutto. “Mi scusi – riesce a dire riabbassando lo sguardo -. Stavo andando al lavoro ed ero in ritardo… Non me ne sono accorta”.
“Ha rischiato grosso – rincara il carabiniere –: poteva far male a se stessa e agli altri”.
Già, per Lia è una sentenza, e non può far altro che ammettere: “Ha ragione. Mi dispiace, farò più attenzione… Ma è stato un caso: non ho mai preso una multa finora”.
Lui la guarda e a Lia par di scorgere un accenno di sorriso sulle sue labbra. Ma è in controluce e potrebbe sbagliarsi. È pure un bell’uomo, quel carabiniere, ma lei è troppo preoccupata per accorgersene.
Seguono attimi di silenzio, finché il carabiniere non si avvicina al collega, ancora intento a verificare i documenti. Parlano.
Lia comincia a rassegnarsi e cerca conforto nella campagna verdeggiante che si stende da un lato della strada fin sotto i monti.
Sarà quel che sarà – sta pensando -, pazienza! La prossima volta partirò prima, a costo di puntare la sveglia dieci, preziosissimi, minuti prima.
Quando le si riavvicinano i carabinieri, Lia è finalmente più calma. Quello con cui ha parlato finora le chiede dove lavora. “A Vicenza”, gli risponde, sperando di impietosirlo con la distanza che ancora la separa dall’ufficio. “Che lavoro fa?”, continua lui. “Sono praticante in uno studio legale. E oggi sono in terribile ritardo – aggiunge con una mano sulla fronte a mo’ di visiera per ripararsi gli occhi dal sole -. Anzi, ormai il bus delle 8 l’ho proprio perso”.
“A che ora è il prossimo?”.
“Non sono sicura, ma dev’essercene uno fra tre quarti d’ora: vorrà dire che arriverò in ufficio per le 10”.
Il carabiniere la guarda ancora un attimo in silenzio, poi abbassa lo sguardo e stende il braccio per ridarle in mano patente e foglio di circolazione. “Vada. Stavolta le è andata bene”.
Lia è smarrita - come? neanche una multa? davvero me la cavo così, solo con un grosso spavento? –, ma resta composta sotto il suo poncho di lana colorata, quasi delusa: perché in fondo la sanzione se la meritava e l’aveva già messa in conto.
Le ci vuole ancora qualche istante prima di liberare un sorriso. E comunque è imbarazzata più che felice: ad affrontare un verbale avrebbe avuto meno difficoltà.
Frastornata, ringrazia la coppia di carabinieri, risale in auto e riparte. È solo allora, all’improvviso, che si sente pervadere dalla testa agli alluci di una gioia incontenibile, da urlo.
Al diavolo i bus, l’ufficio e tutto il resto – pensa, mentre le si inumidiscono gli occhi -, perché oggi l’ho scampata bella e c’ho solo da ringraziare.

Da allora son passati anni e Lia di quello studio legale di Vicenza ora è socia. La Clio “verde buttiglion” è nel frattempo finita dallo sfasciacarrozze, ma la strada fino a Thiene è sempre la stessa. E non passa giorno, quando Lia transita su quel rettilineo, che non le ritorni in mente quella mattina. Sorride di sé ogni volta, ma anche se in ritardo, non s’azzarderebbe manco morta ad accennare un sorpasso. Anzi, ormai saprebbe riconoscere ad occhi chiusi, fino alla stazione, incroci e linee continue. 

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