di Jenny Bassa
11-26 novembre 2013
11-26 novembre 2013
Programma:
- 11 novembre: partenza dall'aeroporto Marco Polo di Venezia (scalo a Parigi)
- 12-13 novembre: Buenos Aires
- 13-16 novembre: da Buenos Aires in bus fino a Puerto Madryn, da lì in auto fino a Puerto Piramides, per un safari nella penisola Valdes
- 16 novembre: in auto fino alla pinguinera di Punta Tombo
- 16-17 novembre: da Trelew a El Calafate in bus, passando per Rio Gallegos
- 18 novembre: passeggiata a cavallo a El Calafate
- 19 novembre: escursione al ghiacciaio Perito Moreno (Big Ice)
- 20 novembre: trasferimento in bus a El Chalten + trekking
- 21 novembre: trekking ai piedi del Fitz Roy e del Cerro Torre
- 22 novembre: trasferimento in bus all'aeroporto di El Calafate; aereo per Ushuaia
- 23 novembre: escursione al parco nazionale della Terra del Fuoco + canoeing nella Lapataia Bay
- 24 novembre: navigazione in catamarano del Canale di Beagle fino al faro del fin del mundo + aereo per Buenos Aires
- 25 novembre: breve visita nel centro di Buenos Aires + volo di rientro in Italia (Verona) con scalo a Parigi

DIARIO DI BORDO
(pensando a Pigafetta, mio
conterraneo)
11 novembre 2013
Sono le 19.11 dell'11 novembre e
siamo in volo diretti a Parigi. Partiti puntuali da Venezia su un Airbus. Siamo
giusto a metà aereo e, da pochi minuti, non vediamo nulla davanti a noi, se non
le tendine grigio smorto a pieghe che la hostess - non sappiamo perchè - ha
deciso di tirare come un sipario giusto davanti a noi.
In compenso, subito dopo è arrivata
con il carrello delle vivande: io mi son già deliziata con quattro biscotti bretoni,
i miei due più i due di Luca, che me li ha ceduti perchè avrebbe preferito mangiare
salatini, come il suo vicino di posto, ma a Luca non è stata data possibilità
di scelta... Ottima anche l'orange juice gentilmente offerta da Air France!
Luca comunque ha deciso che si
rifarà durante lo scalo a Parigi, dove dovremo aspettare fino alle 23.20 per il
volo verso Buenos Aires (BA): un paninazzo imbottito sarà il minimo. Io
invece cercherò a 'sto punto di limitarmi.
Ecco una bella turbolenza. Mica la
prima, per la verità. Anzi, lo stesso comandante ci ha appena pregati di star
seduti e di riallacciare le cinture di sicurezza …
Per fortuna Luca ora è un po' più
rilassato, tant'è che si è messo a giocare col telefonino, continuando però a
invidiare il ragazzo al suo fianco, francese, che è già passato al quotidiano
economico dopo quello sportivo ("Sempre pensato - mi ha già detto un paio
di volte - che i francesi non perdono mai occasione per leggere un giornale,
mica come noi italiani!": son partite, insomma, le generalizzazioni... ;-)
).
Stando in tema Luca, non posso non
ricordare l'inizio di questa avventura, oggi, alle 14.30. Puntualissimi, siamo
partiti da casa nostra per dirigerci all'aeroporto accompagnati da mio papà.
Per fortuna non eravamo ancora entrati in autostrada (era questione di
un-minuto-uno) che Luca si accorge di esser senza cellulare. Dopo alcuni
secondi di auto-palpeggiamenti e squilli a vuoto per capire se il telefonino
era in realtà in auto, abbiamo accostato per controllare nello zaino riposto
nel bagagliaio: niente neanche lì. Di qui l'inversione a U e le mie severe
imprecazioni verso Luca che, fosse stato per lui, si poteva partire
da casa addirittura alle 15.30, senza tener conto di alcun imprevisto. Il bello poi è
che, una volta rientrato a casa, mica lo trovava il cellulare! Macchè! Ho
dovuto chiedere a mio padre di chiamarlo per sentire da dove provenisse il
suono. E non so come ma l'aveva lasciato sulla mensola che sta sopra ai cappotti.
Mah...! Come fidarsi di lasciargli tutte le banconote in dollari americani che
dobbiamo consegnare all'agenzia una volta arrivati a BA?? Se il buongiorno si
vede dal mattino... :-/ In effetti, fino all'imbarco l'ho visto piuttosto
ansioso. Ora invece accusa un calo di tensione, tanto da aver pure sonno. Sono
convinta che questo viaggio gli farà bene: ha bisogno di staccare.
Nel frattempo, il comandante ci ha
informati, prima in francese, poi in inglese, che a Parigi, dove atterreremo
alle 20.20, ci sono 9 gradi.
Sono le 19.35. Vedo laggiù, dal
finestrino, i grappoli di luci arancio della pianura, oltre ad una stella in
cielo, o forse un pianeta, che ci sorveglia nella stessa posizione fin da
subito dopo il decollo.
Passo e chiudo.
Intervengo per un intermezzo io,
Luca, per informare che siamo atterrati a Parigi sani e salvi, e ora siamo alla
ricerca di un posto dove mangiare all'interno dello Charles De Gaulle. È peró
necessario che vi racconti il fatto che, uscendo dalla carlinga dell'aereo,
Jenny si sia voltata di scatto ricordandosi di una cosa "importante"
che aveva lasciato nella tasca dello schienale del sedile: l'I-pad! A posto
siamo…! Tra me e lei…! Per fortuna se ne é ricordata subito, se non altro.
Ragionando poi sulle rispettive competenze di spagnolo si ipotizzava che le
minime basi per farsi capire dovremmo averle. Infatti, quando ho chiesto a
Jenny come si dicesse "mangiare" in spagnolo, mi ha spiazzato con un
quanto mai poetico "desinar", che mi ha letteralmente fatto sbellicare.
Per la cronaca si dice "comer". Ora proseguiamo peró alla ricerca di
un posto dove "comer" senza sborsare un'eresia.
Missione compiuta, ora siamo in
attesa di imbarcarci per Buenos Aires, una tratta di "sole" 14 ore: una passeggiata, insomma. Spero davvero di avere un po' di spazio per le gambe,
altrimenti penso che faró come i cavalli: dormiró in piedi. Se non altro nei
voli transoceanici, dicono, c'é la possibilitá di vedere film, ascoltare musica
e altre amenitá per far scorrere il viaggio. Ci aggiorneremo al nostro arrivo
in Sud America, a questo punto!
Passo e chiudo a mia volta.
Buenos Aires, 13 novembre 2013
Eccoci alla stazione Buen Retiro. Sono
le 14.20 circa e alle 15 partiamo in bus verso il Chubut, per recarci a
visitare la Peninsula Valdes, dichiarata dall'Unesco patrimonio dell'umanità
per la grande varietà faunistica. Anzi, diciamolo, sarà per me uno dei momenti
più attesi dell'intero viaggio, per via delle balene franche. Sembra che ne
vedremo così tante da non poterne più, e addirittura con i piccoli, ma non ci
credo...
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Quartiere La Boca |
Ad accompagnarci, oltre ad un gentilissimo autista, Rodolfo, c'era la
guida, Marta, una signora anziana di origini marchigiane, ma nata in Argentina
e mai stata in Italia ("ho subito ben cinque interventi chirurgici", mi ha
spiegato notando il mio stupore e aggiungendo che da buona famiglia italiana,
la famiglia, appunto, veniva sempre davanti a tutto. Al chè le ho chiesto
quanti figli avesse, risposta: "nessuno"...). Ciononostante parla un
ottimo italiano, e pure dotto: da giovane infatti ha studiato lingua e
cultura italiana per diversi anni alla scuola Dante Alighieri di BA. Peccato
che noi fossimo così stanchi che facevamo davvero fatica a seguirla in tutte le
sue spiegazioni. C'è stato un momento in auto, che, complice il fatto che ero
seduta giusto dietro al sedile della guida, che quindi non mi poteva vedere, la
mia testa ciondolava in modo incontrollato in tutte le direzioni. Luca era meno
fortunato perchè stava seduto nella diagonale di Marta, ma più tardi mi ha
rivelato che anche lui approfittava dei grandi occhiali neri per chiudere gli
occhi almeno per qualche momento.
Il fatto è che, dopo non aver mai
dormito durante la traversata oceanica in notturna (oltre 13 ore, ed eravamo in
piedi dalle 7 del mattino), abbiam perso oltre due ore per raggiungere la città
dall'aeroporto, nonostante distino tra loro appena una ventina di chilometri:
imbottigliati in autostrada tra bisonti su ruote, avanzavamo di qualche metro
al minuto, finchè il nostro autista non ha deciso di imboccare delle laterali
(sì, delle laterali in autostrada!) per evitare la colonna. Peccato che
guidasse, lui come tutti gli altri al volante, peggio di come guidano a Napoli:
ogni 10 secondi mi stupivo di come non avessimo ancora incidentato o perchè
ancora non avessimo incrociato decine di incidenti. Le brusche frenate, le
accelerate per infilarsi tra un camion e un autocarro, le attraversate delle
strade per raggiungere la colonna di volta in volta meno lunga, non si
contavano, ma soprattutto se allungavo il braccio fuori dal finestrino, potevo
toccare i veicoli al nostro fianco da quanto si viaggiava vicini. Un incubo.
Aggiungiamo che al di là del finestrino, non c'era affatto un gran spettacolo:
oltre alle strade messe male, con rigagnoli continui ai bordi per la mancanza
di caditoie, e quindi delle fognature, marciapiedi disastrati e case
fatiscenti, simili agli innumerevoli abusi edilizi del sud Italia (peraltro
anche qui per lo più lasciati a metà, ma qui sempre abitati), incrociavamo cani
a briglia sciolta e soprattutto tanta sporcizia e spazzatura abbandonata per
strada. L'autista, poi, sembrava improvvisare l'itinerario in continuazione,
con direzioni decise anche in mezzo alla strada e strombazzamenti continui da
dietro.
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Ostello America del Sur |
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Puerto Madero |
Marta comunque è
stata coccola: quando le abbiam riferito che eravamo affamati, ci ha subito
fatti portare lungo i Docks a mangiare al volo un ottimo choripan, cioè un
panino con la salsiccia.
Siamo rientrati dal city tour quasi
alle 7 di sera, convinti che avremmo cenato fuori in uno dei localini
indicatici sia da Marta che da Andrea. Ma alle 19.30, docciati, abbiamo
commesso l'errore di stenderci sul letto. Abbiam riaperto gli occhi la prima
volta alle 23. Senza dirci quasi niente, ci siam rimessi a dormire e ci siam
alzati alle 7 di questa mattina, realizzando finalmente dove eravamo e cosa
dovevamo fare. La colazione, prima di tutto.
17 novembre 2013
Qui in Argentina sono le 8.30 del 17
novembre. Ci troviamo in un bus a due piani da 12 ore esatte diretti a Rio
Gallegos, nella profonda Patagonia e a due passi dalla Tierra del Fuego. Lì ci
aspetterà un tizio che, in auto, ci porterà in 3-4 ore a El Calafate, zona dei
ghiacciai, dove ci fermeremo 3 notti.
Che l'aria si stia facendo frizzantina
l'abbiam capito già pochi minuti fa, durante una breve sosta in una stazione di
servizio persa nel nulla, tra distese sconfinate disseminate di cespugli, e
sotto un cielo, che qui in Patagonia è ovunque e sembra schiacciarti. Se non
altro questa stazione era decisamente più pulita di quella lurida in cui ci
siam fermati alle 4, stanotte.
Com'è facilmente immaginabile, dire
che abbiam dormito è una parola grossa... Ma almeno siam seduti vicini, non
come nella prima traversata in bus, quando da Buenos Aires siamo andati a
Puerto Madryn. Luca però, in compenso, in quell'occasione, si è trovato seduto
accanto a una coppia di ragazzi tedeschi di Dusseldorf, Ulf e Daniela, con cui
è scattata subito l'amicizia. Galeotta è stata la tv, che il
personale di bordo ha acceso su un film di guerra ad un volume insopportabile,
centralizzato e diffuso dagli altoparlanti di ciascun sedile. Tutti d'accordo
abbiam chiesto di eliminare l'audio, ma il nostro addetto, come tutti coloro
che qui in Argentina svolgono mansioni umili, non capiva l'inglese, e neanche
l'italiano (e forse neanche lo spagnolo), tanto era acerbo e francamente incapace.
Ci è
stata servita la merenda e abbiam giocato a Bingo, la nostra tombola, che
peraltro è stata vinta proprio da Daniela, aggiudicandosi così una bottiglia di
spumante. Subito dopo in tv hanno dato per tre volte di fila un film argentino
assai interessante - "Il segreto dei suoi occhi" già visto in
italiano da me e da Luca -, che ha assai appassionato la coppia di sudamericani
di mezza età seduta al mio fianco. Lui, peraltro, alto e magro, con le gote
scavate, quando l'ho visto dormire durante la notte mi ha quasi spaventata perchè era disposto come un
morto dentro ad una bara.
Inutile poi dire quanto siano
scomodi i bagni di questi bus, del tutto identici a quelli dei treni. Io
proprio non riesco ad utilizzarli: quando la mia vescica non ce la fa più, ci
provo anche, con mille acrobazie per non toccare da nessuna parte, ma come fai
a rilassare i muscoli così?? Per questo salto giù dal bus come una
cavalletta appena - ogni quelle 7-8 ore - ci si ferma in una estaciones.
Sempre detto, beati i maschi!
Appena partiti abbiam subito preso
familiarità con gli innumerevoli cartelli arancio con scritto
"desvio" ad indicare le deviazioni. Le strade infatti sono per lo più o sterrate
o asfaltate, ma messe malissimo, con continue voragini non segnalate o
rattoppate alla meno peggio. Il primo desvio peraltro ci ha portato
completamente fuori strada, su un percorso sterrato che non finiva mai,
complice una velocità che non poteva superare, neanche volendo, i 40-50 km/h.
Invece di un'ora c'abbiam messo così il doppio per giungere a destinazione.
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Puerto Piramides |
Il paesaggio terrestre a tratti
sembra lunare, a tratti ricorda il Messico dei film, solo che qui non ci sono
cactus, ma tanti, tantissimi arbusti e cespugli. Il nostro hotel, il più bello
di tutto il paese (e anche di quelli in cui alloggeremo fino alla fine di
questo fantastico viaggio), non ha deluso le aspettative: era l'unico in
spiaggia e la nostra camera, al piano terra, come richiesto, godeva della vista
mare. Stanza ampia, letto gigante, bagno confortevole: un sogno. Dopo le
fatiche dei primi giorni, il breve periodo trascorso in questo angolo
dell'Argentina ci ha ampiamente ripagati e ristorati.
Mentre gli amici tedeschi quindi cercavano
una stanza dove dormire, noi, dopo esserci docciati e cambiati, siamo andati a
prenotarci l'uscita in catamarano per vedere le balene (whalewatching). C'era posto solo
nell'ultima della sera, ma molto più costosa per il fascino del tramonto e per
una durata di 2 ore anziché 1,5; o la mattina del giorno dopo, alle 9.30,
quando però, secondo il nostro programma, dovevamo esser già in auto in
direzione Penisola Valdes. Insomma, non avevamo scelta. Ma è andata alla stragrande!
Non solo eravamo pochissimi, una decina e nessun marmocchio
esaltato, ma soprattutto perché dopo aver percorso non so quanti chilometri in
mare per trovare la prima balena, abbiamo avuto la fortuna di assistere persino
ai salti. Uno, due, tre, quattro. Incredibile! Sembrava che la balena franca si
divertisse almeno quanto noi che la stavamo a guardare ad appena 30-40-50
metri, grazie alle peripezie del nostromo che la inseguiva. Ad un certo punto,
poi, l'ho vista venire verso di noi: un mammifero enorme del peso di tonnellate,
di cui sbucava fuori solo un po' di muso, ma che repentinamente è scomparso
alla nostra vista. Se tanto mi da tanto, ho pensato, non può che essersi
inabissata qui, sotto di noi. Così, mentre tutti, Luca compreso, continuavano a
guardare nello stesso punto dove era scomparsa, io ho abbassato lo sguardo e,
dall'alto del pontile in cui eravamo, ho riconosciuto in acqua le incrostazioni
bianche che si formano sul muso delle balene: la balena, insomma, ci stava passando
sotto, come continuavo a immaginarmi prima di partire per questo viaggio, rabbrividendo al pensiero che, in caso, sarebbe bastato un colpo di coda per spazzarci via. Non per niente in quel momento mi stavano tremando le gambe e avrei voluto avvisare tutti, ma l'urlo era strozzato in gola. Muta, mi sono solo voltata e spostata in solitaria nel lato opposto
del pontile, perchè, di nuovo, se tanto mi da tanto, e se avevo visto bene, la balenano poteva che riemergere dall'altra parte. E infatti, dopo pochi secondi,
mi è ricomparsa davanti, spruzzando acqua dal buco sul dorso, che quasi giungeva a noi. Allora tutti si sono voltati e
spostati dalla mia parte, mentre le mie gambe facevano giacomo-giacomo al pensiero di quanto avevo assistito. Un'emozione unica e
irripetibile!
Per il resto, ci saranno le foto a dar conto delle evoluzioni cui abbiamo assistito al calar del sole, in controluce, addirittura con due balene appaiate, e noi lì a fianco a seguirle, mentre altre in lontananza sbuffavano o emergevano in verticale, fino a tre quarti, torcendosi e lasciandosi cadere sul dorso sollevando schizzi e ondate per metri.
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Balena franca australe |
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Balena franca australe |
Per il resto, ci saranno le foto a dar conto delle evoluzioni cui abbiamo assistito al calar del sole, in controluce, addirittura con due balene appaiate, e noi lì a fianco a seguirle, mentre altre in lontananza sbuffavano o emergevano in verticale, fino a tre quarti, torcendosi e lasciandosi cadere sul dorso sollevando schizzi e ondate per metri.
Infreddoliti per la sventata, siamo
rientrati che ormai cominciava a far buio e ci siam diretti dopo poco a
mangiare a Las Estaciones, una trattoria consigliataci da Andrea dell'agenzia di Buenos Aires.
Abbiam dovuto aspettare a lungo prima che si liberasse un tavolo, ma ne è poi
valsa la pena: ottimo cibo, ottima birra (rigorosamente una bottiglia da litro
in due) e localino assai gradevole, pieno di cimeli appesi, e luci, tavoli e
sedie multicolori.
L'indomani, dopo un risveglio e la colazione davanti alle onde che si infrangevano sulla spiaggia lì di fronte a noi, sotto un cielo limpidissimo, ci siamo
addentrati in auto verso la Penisola Valdes. Come già detto più volte, il sito
è stato dichiarato dall'Unesco patrimonio mondiale dell'umanità per la grande
varietà di specie animali che la abitano. Ma non avremmo mai potuto immaginare
di vederne davvero con i nostri occhi così tante e da così vicino da poterle toccare.
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Leoni marini |
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Punta Norte (penisola Valdes) |
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Armadillo |
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Punta Pardella |
In serata abbiam mangiato mariscos, frutti di mare disposti su un grande tagliere circolare foderato da un letto di lattuga. Buonissimi, ma fin troppi.
Ieri mattina, con gran calma, abbiam preparato
gli zaini, e finalmente siam riusciti a rivederci con Daniela e Ulf, prima e dopo
la loro uscita in catamarano a veder le balene (ci hanno riferito di non aver assistito ai salti, ma comunque ad una mamma con il piccolo, e i
delfini che volevano giocare con lui), ci siam fatti scattare qualche foto
assieme e infine abbiam lasciato quasi a malincuore questo paradiso che è
Puerto Piramides.
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Fenicotteri |
Arrivando, poi, abbiamo scorto una
palude e degli alti uccelli che da distante sembravano rosa. Non potevano che
essere fenicotteri, ma nessuno ci aveva detto che avremmo potuto incontrarli,
per cui non credevamo ai nostri occhi. Accostata l'auto, armeggiati
di binocolo e superteleobiettivo, abbiamo quindi voluto approfondire: erano proprio
fenicotteri. Bellissimi, elegantissimi, quasi danzanti sull'acqua. Una visione!
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Pinguino di Magellano |
Tirati sui tempi - forse la mattina
a Puerto Piramides ce l'eravamo presa un po' troppo comoda -, siam tornati a
nord per riconsegnare l'auto a Trelew. Era andato tutto bene, finchè Luca
distratto nella ricerca della via del Rent-a-car, non si è accorto di un infido
dosso e, pur procedendo a meno di 50 km orari, abbiam sentito un colpo tremendo da
sotto l'auto. Atterriti, abbiamo accostato per controllare se andasse tutto
bene, gli pneumatici in primis, e sembrava di sì. Per questo però non vedevamo
l'ora di riconsegnare l'auto, che peraltro era impolverata all'inverosimile
a causa della famigerata polvere patagonica.
Tuttavia, pur giunti in extremis entro le
19.30, come da contratto, il Rent-a-car era chiuso. Dopo pochi minuti, per fortuna, è arrivato ad
aprire un uomo che non si staccava dal telefono, e scurissimo in volto, perchè,
ci spiegò più tardi sbloccandoci la carta si credito, solo in quel giorno
c'erano stati ben tre incidenti nella penisola Valdes, di cui uno mortale, e
tutti con la sua agenzia. Gli automobilisti infatti tendono a non rispettare i limiti
consigliati, così, quando un animale improvvisamente attraversa la strada, son cavoli
amari: si frena bruscamente, il peso dell'auto trascina avanti il mezzo finchè
non rocambola a bordo strada.
Per questo, quando il tipo dell'agenzia, in seguito ad un minuzioso controllo, ci ha chiesto 200 pesos (circa 25 euro) per aver riscontrato
sul nostro parabrezza una piccolissima scheggiatura, glieli abbiam dati quasi volentieri pensando a cosa avevamo
rischiato. Ma va detto che noi siam stati sempre prudenti. Noi, perchè ho
guidato anch'io, per un pezzo, in penisola Valdes.
Eccoci quindi arrivati a ieri sera,
alle 20.30 circa, quando a Trelew abbiam preso questo bus per Rio Gallegos,
dopo aver comprato alla spicciolata, un po' qua un po' là, frutta, panini e
snack per la lunga traversata, perchè la schifezza che ti servono in bus per
cena, dicono tutti sia immangiabile e infatti noi l'abbiam rifiutata senza
batter ciglio.
Ora son le 12.30 e siam fermi da
quasi due ore a Puerto San Julian, a causa di un guasto al cambio. Il cielo è
velato di grigio e l'aria parecchio frizzante. Per fortuna per stasera non
avevamo preso impegni per cui abbiamo un discreto margine nella tabella di
marcia.
Siamo ancora sulla Ruta 3 e sono da
poco passate le 16 locali. Non dovrebbe mancar molto a Rio Gallegos, dove un
tizio ci aspetta per accompagnarci a El Calafate. Ad ogni modo son quasi 20 ore
che siamo a bordo di questo bus, che poi stamane ha ripreso a funzionare dopo
circa tre ore di tentativi di riparazione.
Nel frattempo, a terra, abbiam
conosciuto un altro italiano, di Terni, "accampato" al piano di sopra
del bus, con moglie e figlia. Loro sono in viaggio da quasi due mesi, tra Cile,
Perù, Bolivia, Argentina. Invidia! Consiglia di andare in Bolivia, ma già Luca
c'aveva fatto un pensiero... Chissà!
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Dal finestrino del bus |
Il cielo intanto, che qui occupa a
dir poco i 4/5 del campo visivo, s'è fatto grigio più scuro, nonostante
un'oretta fa il tempo avesse virato verso il sole. Ma proprio l'estrema
vulnerabilità del tempo è la bellezza della Patagonia e della Terra del fuoco.
Nel frattempo Luca sta dormendo, con la
bocca aperta, anche se la tv sta sparando un film orribile con Vin Disel, tutto
spari, musica tecno a palla, auto rombanti, urla e uomini-armadio tatuati che
se le danno per un nonnulla.
Ed ecco le prime goccioline di
pioggia del nostro viaggio: stanno striando il finestrino. Ci sta! Ma speriamo
cambi in fretta perchè il percorso che faremo in auto sembra meriti parecchio.
Sono le 19 e da pochi minuti, con
6-ore-6 di ritardo, abbiamo finalmente lasciato quel bus su cui eravamo saliti
22,5 ore prima! Ad aspettarci al terminal dei bus di Rio Gallegos, città
prettamente industriale, c'era Marcelo, un simpatico giovane di Calafate che ci
ha condotti alla sua confortevole Citroen Picasso. Il povero Marcelo ci
aspettava dalle 14, poveretto!
Purtroppo piove e il termometro
segna 3 gradi, ma a Calafate, a 3 ore di macchina da qui, Marcelo dice che ci
sono circa 16 gradi.
Anzi, stavamo dicendo proprio ora che basta guardare in direzione di Calafate
per vedere che là il tempo è decisamente migliore. Speriamo! Noi non vediamo
l'ora si farci una bella doccia calda ed esser pronti domattina alle 7, quando
verranno a prenderci per l'escursione all'Estancia Cristina e al primo dei ghiacciai che vedremo
durante questa tappa, l'Upsala.
È l'una passata e finalmente sono
sotto le coperte dell'ostello America del Sur di El Calafate, mentre Luca si lava
i denti e sistema ancora alcune cose. La stanza è ok, non come a Puerto
Piramides, ma meglio che a Buenos Aires. Qui fa un freddo cane: Marcelo ci aveva detto che di notte c'è un'escursione termica pazzesca, per cui di
giorno ci sono 16 gradi e di notte ci si avvicina allo zero. Le stelle in
compenso sono ad un palmo dal naso e la luna (piena stasera) qui è gigantesca.
Siamo appena rientrati dal
ristorante qui vicino con vista panoramica sulle luci della cittadina. Abbiam
mangiato io un gigantesco Lomo (filetto) e Luca un cordero patagonico (agnello)
che sembrava una montagna.
Ora abbiamo solo 4,5 ore di sonno
prima della sveglia, ma siam sicuri che crolleremo come bambini appena la testa
toccherà il cuscino.
El Calafate, 18 novembre
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Il lago Argentino |
Amareggiati, ma perfettamente consci
che... va bene l'avventura, ma fino ad un certo punto, siamo quindi risaliti
nel pulmino e tornati a Calafate, affiancati nei sedili da alcune coppie
vercellesi di mezza età che non si davano pace per la prospettiva di una
giornata buttata. Al punto che appena il loro cellulare ha avuto segnale di campo (in Patagonia i telefonini funzionano solo nei pochi centri abitati), hanno
chiamato la loro agenzia per chiedere cosa potessero fare di alternativo, e pare
gli abbiano risposto che le prime attrazioni si trovavano a 800 chilometri,
giusto per dare ancora una volta l'idea di cosa significhi la Patagonia.
In effetti, anche noi non avremmo
potuto semplicemente posticipare l'escursione a domani, come ci suggerivano gli organizzatori, perché saremo sul Perito Moreno, ma almeno non ci siamo scoraggiati: stavamo anzi già pensando a qualcosa di alternativo in loco, come noleggiare un'auto e fare il giro del lago, o una bici per esplorare Calafate. Alla fine invece all'ostello ci hanno consigliato la passeggiata a
cavallo, che ci ha subito entusiasmati, anche perchè era una delle cose che
avremmo voluto fare in Patagonia, se avessimo avuto almeno un giorno in più a disposizione.
Poco dopo le 11 quindi è venuto a
prenderci Gustavo del maneggio con uno sgangheratissimo pulmino, dove a bordo
c'erano già due ragazze newyorchesi e, dopo di noi, ad un'altra fermata, son
salite altre due ragazze francesi.
Luca in groppa a Mike Tyson - più
per il mantello che per l'indole, secondo me - e io a Murcielago, siamo dunque
partiti più o meno in fila, con Gustavo e altri due del maneggio: Martin e una
ragazza. A farci da scorta, poi, sei cani bastardi che qui in Argentina sono
ovunque e sembrano abitare le città tanto quanto le persone: liberi, pacifici,
di tutti i tipi, all'inizio fanno specie per chi non è di qui, ma alla fine li
si guarda invece con simpatia e quasi quasi li si invidia.
Il vento intanto non cessava, anzi,
continuava ad aumentare, al punto che il berretto di lana sembrava quasi non
averlo in testa.
Entrambi, sia io che Luca, non salivamo in sella ad un cavallo
da almeno 20 anni, ma come al solito non ci tiriamo indietro: mentre infatti le
altre quattro ragazze dopo poco hanno proseguito il percorso verso un'altra direzione
perchè avevano scelto la passeggiata corta, io e Luca abbiamo tirato dritto con
Martin per il percorso più lungo (sulla carta stava scritto 4 ore, ma al netto
della sosta e dei trasferimenti saran state poco più di 2,5-3).
Va detto comunque che entrambi i
cavalli erano miti, solo ogni tanto sbruffavano e il mio, in particolare,
tendeva a prendersi indietro, così ogni tanto dovevo dargli di talloni per
farlo accelerare un po' e raggiungere Mike Tyson con Luca, che invece, diligente,
era l'ombra del pinto di Martin. Ogni tanto comunque anche Luca andava al
trotto, ma con uno stile tutto suo: se una mano infatti teneva le redini,
l'altra stava a riparare i colpi della sella sugli zebedei. Uno spasso!
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A cavallo nella steppa patagonica |
A metà percorso, peraltro, ci siamo
fermati in una baracca fatiscente, sperduta in mezzo al nulla, che Martin ci
aveva indicato da lontano. Ma non pensavo sarebbe servita per il nostro pranzo!
Mi aspettavo di raggiungere una sorta di bar o una sorta di malga, ma
dimenticavo che qui siamo alla fine del mondo, mica sull'altopiano di Asiago!
Il "pranzo" quindi ce l'ha preparato lo stesso Martin dentro quella
stamberga, mentre ci ha mandati a piedi a farci un giro sulle colline, dove,
immancabili, ci continuavano a gironzolare attorno i sei cani, ma senza mai dar
fastidio, anzi, proteggendoci in qualche modo da chissà che cosa.
Tornati quindi verso quelle quattro lamiere in piedi non si sa come, abbiamo trovato pane,
affettati, pomodori e formaggio sopra ad un barile. Sorvolando sull'igiene e sulle innumerevoli immagini
di donnine in deshabillè attaccate alle pareti da chissà quanto tempo, in fondo
Martin se l'era cavata anche troppo bene, per la verità, considerando le
risorse a disposizione; e le vettovaglie, evidentemente, invece che esser sbucate dal nulla, stavano nascoste nelle
sacche fissate alla sella del suo cavallo.
20 novembre 2013
Sulle note di Fuera de mi vida (il
cui videoclip ricalcherà sicuramente il clichè sudamericano della storia
d'amore burrascosa, ma appassionata), stiamo lasciando El Calafate alle 8 del
20 novembre, in un mattino splendente. In bus, ovviamente! Lungo la celeberrima
Ruta 40, fra tre ore dovremmo essere a El Chalten, ai piedi delle altrettanto
celebri vette Fitz Roy e Cerro Torre. I prossimi due giorni saranno infatti
dedicati al trekking in alcuni dei posti più ambiti dagli appassionati delle
passeggiate in montagna di tutto il mondo.
Siamo appena partiti e siamo già
fermi a bordo strada, in realtà, perchè al posto di polizia in uscita dalla
città la solita scrupolosa agente che già ci ha fermati in auto tre giorni fa con
Marcelo, mentre entravano a El Calafate, vuole controllare tutti i documenti dei
passeggeri. Per fortuna che Andrea dell'agenzia a Buenos Aires ci aveva
assicurato che i passaporti potevamo metterli in fondo allo zaino e non
pensarci più fino al volo di rientro in Italia: ce li avran in realtà chiesti
almeno una volta al dì.
Ma veniamo alla strepitosa giornata
di ieri.
Carissimi, il ghiacciaio Perito
Moreno da solo vale il viaggio fino alla fine del mondo.
Per i dettagli, però, passo il
testimone a Luca, che ieri sembrava addirittura esaltato.
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Il ghiacciaio Perito Moreno |
Durante il viaggio verso il Perito, una quarantina
di km, il sole ha piano piano ceduto il posto ad un nutrito gruppo di nuvole
che hanno reso il cielo grigio argenteo da cui si poteva vedere in sospensione
una sorta di nebbiolina, come dei micro spruzzi di goccioline d'acqua che
appunto galleggiano nell'aria: il classico clima patagonico in questa precisa
zona nei dintorni dei ghiacciai perenni argentini.
Tra la corriera piena e il
cambio di clima, presto i finestrini del bus si sono talmente appannati che non
si poteva piú vedere fuori, rendendo perció ancora piú spasmodica l'attesa.
Jenny ne ha approfittato per riposicchiare un po', mentre la guida di nome
Francisco che ci accompagnava snocciolava un sacco di utili informazioni
sul ghiacciaio, non prima di averci fatto compilare una scheda in
cui indicavamo il nostro stato di buona salute in vista dell'escursione
"Big Ice" che stavamo per intraprendere.
Non la faccio troppo
lunga: prima di addentrarci dentro e sopra il ghiacciaio ci siamo approcciati
al Perito dal fronte che dá su un braccio del lago Argentino. I risultati si vedono in foto: una diga di ghiaccio impressionante che si estende per 5
km in larghezza (30 km in lunghezza!!) e si erge in altezza fino a oltre 60
metri dalle acque del lago. Il fragore dei blocchi di ghiaccio che ogni tanto
si staccano dalla cima cadendo rovinosamente nel lago sono un'esperienza
uditiva che non dimenticheró mai. Impressionante.
Da questo "mirador"
ci siamo spostati in battello nel lago fino al ghiacciaio, ancora piú vicini,
facendoci rendere davvero conto delle dimensioni gigantesche di questo immane
colosso gelido. Da lí abbiamo intrapreso una camminata di un'ora - si erano
intanto fatte le 11 - per arrivare al fianco del Perito. La camminata si é
svolta in parte in un bosco di enormi e centenari faggi, alcuni dei quali
colossali e persino artistici nelle inaspettate forme assunte dai loro rami
nodosi, dalle possenti radici e dai bitorzoluti tronchi.
Arrivati al campo base
delle guide che conducevano l'escursione, le guide stesse ci hanno imbragato
con una cinta di sicurezza e ci hanno fornito i ramponi per il ghiaccio: era
arrivato il momento di addentrarci sul dorso del perito, all'interno dei suoi
ghiacci millenari. É un'esperienza da provare, difficile da descrivere. Per
quanto mi riguarda posso solo dire di essermi sentito piccolo e insignificante
al cospetto di tali immani spettacoli della Natura. É lei la protagonista in
Patagonia e la sua forza é tanta e tale da emozionarti e commuoverti.
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Sul dorso del ghiacciaio Perito Moreno |
La
guida si é complimentata a un certo punto con tutto il nostro gruppo per la
forma fisica di ognuno di noi visto che nessuno ha manifestato alcun tipo di
problema né tantomeno ha rallentato il cammino. Eravamo un manipolo
davvero internazionale: due olandesi, quattro coreani (pessimi: sempre in mezzo quando
c'era da far foto e soprattutto uno di loro ha svuotato e sciacquato in una
pozza d'acqua cristallina una lattina di coca cola! Con naturale commento di
disapprovazione della guida), due neozelandesi, oltre a Jenny e me. Si procedeva
in fila indiana e subito dietro la guida stava Jenny, che anche sul
ghiaccio, come su qualsiasi sentiero montuoso, si muove con la naturalezza di
uno stambecco. Io dietro a Jenny con la fotocamera per immortalare alcuni
momenti. Non era affatto semplice scattare anche perché camminare sul ghiaccio
su un terreno comunque non piano né lineare non é affatto scontato: le guide
stesse si raccomandavano di fare attenzione a dove si mettevano i piedi, ma
soprattutto di non camminare con l'occhio nel mirino della fotocamera per
evitare inevitabili e rovinosi capitomboli. Il tempo é volato e solo a fine
escursione ci siamo accorti di una certa stanchezza: io in particolare avevo la
schiena a pezzi (lascito anche della cavalcata con Tyson del giorno prima) e
Jenny un dolore ad un ginocchio, dovuto senz'altro ad un sovraccarico di lavoro
vista l'impegnativa escursione. Ma stamattina, dopo una discreta dormita siamo
ancora un po' acciaccati ma rinvigoriti e pronti per proseguire la nostra
avventura. Finita l'escursione sul Perito abbiamo potuto sorseggiare del caldo
caffé argentino e in nave, sulla via del ritorno, del buon e rigenerante
whiskey con un pezzo di cioccolata: che bontá!
Giornata conclusa al ristorantino
vicino all'ostello dove alloggiamo mangiando le empanadas e una leggera e
fresca insalatina.
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Sullo sfondo la cordigliera andina patagonica |
Eccoci a El Chalten, paradiso per chi fa trekking, hiking e arrampicata.
Noi ci siamo limitati a camminare per circa 8 ore, visto che siamo freschi come rose (?!), e in cima al nostro percorso, al culmine delle nostre fatiche, la vista di cui abbiamo goduto ci ha ampiamente ripagato, eccome.
A sinistra il Cerro Torre, acuminato ed elegante, a destra il Fitz Roy, più torvo e massiccio ma pur sempre maestoso. Ai piedi del Cerro Torre, il Glaciar Torre, che sciogliendosi dà inizio a quel bacino di acqua da cui scaturisce il torrente Fitz Roy, che bagna El Chalten.
22 novembre 2013
"Meno male domani sarà una
giornata di trasferimenti". Con queste parole ieri sera Luca è entrato
nella nostra stanza di El Chalten, dopo quasi 50 km percorsi a piedi in un
giorno e mezzo lungo la cordigliera andina patagonica. Al punto che ieri sera,
cenando direttamente al ristorante dell'hotel in cui alloggiavamo - tanto
eravamo sfiniti -, siamo andati avanti un pezzo a confrontarci sui muscoli e le
articolazioni che sentivamo dolenti. Una cosa è certa: avevamo esagerato, ma come in ogni viaggio non riusciamo mai a tirarci indietro.
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Aeroporto di El Calafate |
Non prima però di
annotare che persino qui in aeroporto, come in tantissimi luoghi pubblici in
cui siam stati in Patagonia, alla toilette la carta igienica non va gettata nel
water, ma nei contenitori a fianco. È evidente infatti che qui il sistema
fognario non può collegare tutti i gabinetti che ci sono, perchè sono
estremamente sparsi, distanti tra loro chilometri e chilometri.
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El Chalten, tipico edificio rivestito di lamiera |
Noi siam stati fortunatissimi. Davvero. Siamo arrivati due giorni fa verso mezzogiorno, in una giornata splendente, senza nuvole: un caso raro, come ci ha spiegato la guida del parco nazionale appena entrati a El Chalten, dicendoci che ci sono turisti che si fermano anche 4-5 giorni e non riescono mai a vedere le vette più ambite, spesso ammantate dalle nuvole che si formano per le perturbazioni che arrivano dal Pacifico. Noi invece ce le avevamo lì, sopra la testa, a un palmo dal naso, irte e imponenti, macchiate di neve. E già da ieri infatti non le abbiam più viste, realizzando quindi quanto fossimo stati fortunati il giorno prima.
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La laguna Torre ai piedi del Cerro Torre e del Fitz Roy |
Purtroppo il rientro è stato per me
piuttosto difficoltoso per due problemi mai accusati prima in vita:
l'appannamento delle lenti a contatto e il fastidio all'esterno del ginocchio
destro, percepito per la prima volta il giorno prima alla fine del Big Ice al
Perito Moreno. Cercando su internet, il primo problema potrebbe essere causato
da particelle di grasso che si depositano sulle lenti, ed effettivamente può
essere a causa del continuo stropicciamento degli occhi occhi per la luce
intensa che emana il cielo patagonico e per guardar dentro al mirino della
fotocamera. Per quanto riguarda il secondo problema, sarà senz'altro un
sovraccarico, per cui son sicura che basterà un po' di riposo, certo non ora!
Sta di fatto che l'altra sera, uscendo dall'hotel per andar a mangiar un
boccone fuori, mi erano bastati due minuti di riposo sul letto, per non
riuscire poi a piegare il ginocchio nel fare gli scalini in discesa. Da
vergognarsi, se la mia andatura non fosse stata oltremodo comica.
Per la prima volta ieri ci siamo alzati
senza sveglia, perchè nessuno finalmente doveva venire a prenderci alle 7 del
mattino per portarci via in pulmino. Purtroppo però, un po' per la fatica del
giorno prima, un po' perchè entrambi non eravamo riusciti a dormire sodo, ci
siam trascinati al salone dell'hotel per la colazione con grossa fatica e poche
parole. Complice una giornata non certo splendente come il giorno prima,
entrambi eravamo d'accordo che avremmo scelto una fra le passeggiate meno
impegnative, corta e senza dislivello.
Invece, non so come, ci siamo trovati lungo il secondo percorso più impegnativo indicato nella mappa: 11 km per andare e altrettanti per tornare, con un dislivello di 350 metri, che però continuava a ripetersi su e giù. Non è che avessimo sbagliato percorso, eh! Piuttosto eravamo attratti dalla meta, cioè quella laguna opalina (laguna Torre) vista il giorno prima dall'alto. Volevamo vederla da vicino e magari toccarla con mano. Cosa che abbiamo fatto, anche se con qualche difficoltà, soprattutto all'andata, perchè quello specchio d'acqua sembrava non arrivare mai e noi continuavamo a fermarci a scattar foto, ad ascoltare gli uccelli (abbiam visto - e fotografato - pure il picchio patagonico dalla testa rossa), a guardar le cascate e tutti quei nothofagus schiantati a terra e lasciati là.
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La laguna Torre |
Invece, non so come, ci siamo trovati lungo il secondo percorso più impegnativo indicato nella mappa: 11 km per andare e altrettanti per tornare, con un dislivello di 350 metri, che però continuava a ripetersi su e giù. Non è che avessimo sbagliato percorso, eh! Piuttosto eravamo attratti dalla meta, cioè quella laguna opalina (laguna Torre) vista il giorno prima dall'alto. Volevamo vederla da vicino e magari toccarla con mano. Cosa che abbiamo fatto, anche se con qualche difficoltà, soprattutto all'andata, perchè quello specchio d'acqua sembrava non arrivare mai e noi continuavamo a fermarci a scattar foto, ad ascoltare gli uccelli (abbiam visto - e fotografato - pure il picchio patagonico dalla testa rossa), a guardar le cascate e tutti quei nothofagus schiantati a terra e lasciati là.
Infine, dopo
4 ore e mezza di cammino, siamo arrivati alla laguna e, come al solito di
fronte agli spettacoli che la natura offe, la stanchezza è svanita in un
attimo. Pur sferzati da un vento impetuoso che scendeva dal Glaciar Grande, da
lì non ci saremmo più mossi. Invece l'orologio segnava già le 17.30 e sapevamo
quanta strada ancora dovessimo fare per tornare a El Chalten. Curioso, tra
l'altro, che la tappa alla laguna fosse stata così rinfrancante che al ritorno
ci abbiam messo poco più di due ore e mezza.
Ushuaia, 24 novembre 2013
È il 24 novembre e qui, al fin del
mundo, sono le 9. Siamo seduti in un grande catamarano che tra poco parte per
la navigazione del mitico Canale di Beagle, la lingua di oceano che bagna Ushuaia,
per metà argentina e metà cilena. Fa un freddo pungente perchè, nella notte, la
pioggia di ieri si è trasformata in neve, imbiancando di fresco le montagne che
circondano la città più australe della Terra, l'unica a racchiudere in sè
oceano, foreste e montagne innevate. In piccolo ricorda un po' Trieste: pure Ushuaia infatti ha le sue "Rive", anche se lungo l'oceano, e poi
subito s'inerpica verso l'alto, peraltro in modo assai più caotico - nei
colori, nelle costruzioni e nelle strade - del capoluogo giuliano a causa di un
enorme sviluppo in pochi anni.
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Murales ad Ushuaia sugli Yamana |
Siamo dunque alla fine non solo del
mondo, ma ormai anche del nostro viaggio, iniziato 13 giorni fa. Per la prima
volta da allora, peraltro, ieri abbiamo trovato pioggia sul nostro cammino. A
dire il vero l'avevamo incontrata anche attraversando l'infinita Patagonia, ma
allora eravamo in bus. Ieri invece... in canoa! Già, se qualcosa mancava fra le
nostre avventure, forse era proprio il pagaiare.
Ma andiamo in ordine.
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Parco nazionale della Terra del Fuoco |
Invece, di nuovo abbiamo vissuto
un'esperienza indimenticabile. In un gruppo di circa 12 persone, come al solito
intercontinentale (canadesi, messicani, statunitensi, spagnoli, francesi, metà
circa della nostra età e l'altra metà di mezza età), abbiamo percorso a piedi
alcuni chilometri all'interno della foresta (abbiamo rivisto da vicino il
picchio di Magellano) e lungo le numerose baie che si aprono sul canale di
Beagle. Le nostre guide, come tutte quelle che abbiamo avuto durante queste due
settimane di escursioni, erano non solo giovani, ma soprattutto assai
simpatiche, brillanti, preparate e professionali.
Dopo quasi quattro ore di trekking, ci
hanno per giunta allestito una tenda completa di tavolate, panche, bicchieri e
posate, cucinato al barbecue e servito un petto di pollo gigantesco ciascuno,
con contorno di verdurine spadellate, una fetta di torta salata e, per finire,
una fetta di dolce a base di una crema qui diffusissima, che chiamano dulce de
leche, molto simile al nostro mou; il tutto irrorato da un ottimo Malbec, vino
rosso di Mendoza, città del nord Argentina.
Attorniati da volpi rosse e
falchetti definiti "ladroni" dalle nostre stesse guide perchè sempre
in agguato nella foresta per portar via cibo agli umani, il pasto è servito per
conoscerci un po' di più tra di noi e per affiatarci in vista del canoeing del
pomeriggio.
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In canoa nella Terra del Fuoco |
Purtroppo il tempo andava
peggiorando fino a quando non ha iniziato a piovere e, via via, sempre più
intensamente. Ma questo non ha fatto altro che rendere ancora più avventurosa
l'attraversata della baia, complice il fatto che eravamo bagnati fin alle
mutande. Ad un certo punto, poi, con il nome di Schettino (sigh!), le guide
hanno posto Luca al timone del nostro gommone in sostituzione di una guida che aveva
dovuto lasciare la nostra imbarcazione. Di qui il nostro procedere
continuamente a zig zag, ma comunque ce la siam cavata egregiamente.
Umidi e infreddoliti, siamo rientrati in
città, dove non vedevamo l'ora di farci una doccia calda e asciugare i vestiti
davanti alla fornelletta elettrica della nostra stanza.
Quindi siamo saliti nel salottino
nella Posada del fin del mundo dove alloggiamo per sorseggiare un thè caldo e scegliere
con calma su internet (viva internet!) dove andare a mangiare per cena.
![]() |
Asado |
Anzi, non c'è che dire: in Argentina mangiano davvero bene e, oltre alla carne, fantastica, son
bravissimi anche nei panificati, sia dolci che salati.
Ora siamo in Posada in attesa che ci
vengano a prendere per portarci all'aeroporto per il volo delle 20.45 verso
Buenos Aires, dove atterreremo alle 00.18. Verranno quindi a prenderci per
portarci nello stesso ostello di quando arrivammo nella capitale due settimane
fa, e domani prenderemo alle 18 circa il volo per Parigi, ma avremo poco tempo
da dedicare ancora a Buenos Aires perchè già alle 13.30 verranno a prelevarci
per condurci all'aeroporto.
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Faro del Fin del mundo |
Come al solito non ho il tempo di
rileggere. Sono le 18 e ci stanno aspettando per portarci all'aeroporto. Pazienza per errori o ripetizioni.
Per vedere qualche foto in più clicca qui.
Pubblicato anche su Turisti per caso.
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