di Jenny Bassa
Non è poi tanto male frequentare il cimitero. Con somma sorpresa, ho scoperto che potrei passarci delle ore, io, tra le tombe. Soprattutto se nei dintorni non c'è nessuno. Anzi, chissà cos'avranno pensato quelle due uniche donne incrociate ieri, all'ora di pranzo di una domenica estiva minacciata dalla pioggia, quando mi hanno visto indugiare davanti a svariate lapidi, a volte zigzagando tra una e l'altra per vedere meglio le foto o le scritte semi nascoste da vasi, fiori, tempietti, colonnine e statue.
Negli ultimi dieci giorni sono stata al cimitero più volte che in tutto il resto della mia vita, a causa della dipartita di mia nonna. E' probabile - ne sono consapevole - che lei, o il suo spirito, non mi veda e non mi senta, e infatti a volte mi chiedo che senso abbia recarsi lì. Del resto, la foto - bellissima, di lei sorridente - a casa ce l'ho e la vedo ogni mattina e ogni volta che scelgo o depongo gli orecchini. A pensarla, poi, non serve certo che mi sforzi: il suo ricordo mi assale spesso, soprattutto quando sono sola, magari in bus, tornando dal lavoro, mentre guardo lontano, fuori dal finestrino.
Allora, mi chiedo, a che serve raccogliersi davanti ad una lapide? Qualche metro sotto, certo, c'è la sua salma. Ma non mia nonna, che per me se n'è andata ancora in ospedale, e ben due giorni prima che il suo debole cuore cessasse di battere per sempre, lasciando sul letto nient'altro che un simulacro: è stato quello infatti il giorno più doloroso per me, quello in cui non mangiava e non beveva più, non mi stringeva più la mano e gli occhi restavano chiusi.